BASILE: “SONO ARRIVATO A CERTI LIVELLI CON IL DURO LAVORO. PER VINCERE SERVE UNO SPOGLIATOIO INTELLIGENTE E SACRIFICIO”

Gianluca Basile, ex cestita della Nazionale, è intervenuto in diretta ai microfoni di TvPlay.

“PER ME E’ FONDAMENTALE METTERMI DEGLI OBIETTIVI OGNI GIORNO” – “Da quando ho intrapreso la carriera del basket mi ero già prefissato quello che avrei voluto fare dopo. Io sono una macchina, mi devo porre continuamente dei nuovi traguardi. Il mio obiettivo è sempre stato quello di godermi la vita, ma non come quelli che si alzano alle 12, non fanno nulla tutto il giorno e tornano a letto: io lavoro coltivando i miei hobby e mi godo la vita facendo delle cose che mi piacciono. Per esempio adesso c’è stata la raccolta delle olive. Io ho iniziato tardi, non ho fatto la trafila delle Nazionali minori come hanno fatto la maggioranza dei miei coetanei, io dai 15 ai 18 anni non volevo andare a scuola e mio padre, avendo le terre, mi portava con lui a lavorare: ho sempre avuto la passione della campagna. Mettermi degli obiettivi per me è fondamentale, adesso mi dedico a questo, ma anche alla pesca o all’andare a funghi. Mia moglie, inoltre, ha un’associazione che aiuta i cani randagi cercando poi un’adozione. E’ una vita piena di impegni e riempio le mie giornate in questa maniera: per me è molto appagante. La stanchezza non la noti quando fai delle cose che ti piacciono”.

“IL PADEL MI PERMETTE DI MANTENERE VIVO LO SPIRITO DI COMPETIZIONE” – Il padel è un’ancora di salvezza per restare legato allo sport. Quando smetti di giocare che sei abituato a certi ritmi, quando ti fermi è un disastro. Fare la corsetta o andare in palestra l’ho fatto per 20 anni e sinceramente ora mi prende male. Quando ero piccolo giocavo a tennis e di conseguenza il padel è diventato uno sport che mi piace e che mi permette di restare in forma e non ingrassare, anche perché pur andando avanti con l’età continuo a mangiare tanto. Ero arrivato a 110 kg, mentre ora sono tornato sui 100 che è il mio peso forma, quello che avevo anche nell’ultimo anno di carriera. Inoltre il padel mi permette di mantenere vivo quello spirito di competizione che ha sempre fatto parte della mia vita”.

“PER RAGGIUNGERE CERTI LIVELLI HO SEMPRE DOVUTO LAVORARE DURAMENTE” – “Fare il giocatore e l’allenatore sono due mondi diversi. Io non ritengo di aver avuto un talento smisurato, avevo delle potenzialità fisiche e tecniche, ma non ero un “diamante puro”. Io ero molto legato al lavoro, se non avessi lavorato in una certa maniera non avrei mai reso. Ho avuto la fortuna di scendere in campo con giocatori come Navarro che mi facevano capire che veniva da un altro mondo. Per avvicinarmi al suo livello dovevo massacrarmi mentalmente e fisicamente, prepararmi al meglio ogni giorno. Tanti anni a lavorare in una certa maniera, anche in età avanzata, il fisico non era più quello di una volta perché ho cominciato ad avere infortuni muscolari e problemi fisici in generale. Ho smesso tardi perché avevo 41 anni, ma se fossi stato ancora in A2 avrei continuato ancora un po’. Il primo anno a Capo d’Orlando è stato quello in cui mi sono divertito di più, perché eravamo nella seconda serie e i ritmi di gioco erano meno asfissianti. Col passaggio in A1 è stata dura: l’impatto fisico era cresciuto notevolmente e ne ho accusato. Correre dietro a gente di 20 anni più giovane non è stato semplice e ti accorgi che vai a due/tre marce meno di loro”.

“PER ARRIVARE A CERTI LIVELLI OCCORRE OSSERVARE TANTO E STUDIARE” – “Io guardavo la pallacanestro e studiavo i movimenti. Ad esempio usare i blocchi per uscire da una marcatura l’ho visto fare da Danilovic, poi tutto il resto è stato lavorato tra me e me e con gli allenatori. Guardavo le cose che mi interessavano, mi piacevano e le provavo anche per capire se potessero rientrare nel mio bagaglio tecnico perché non tutti i movimenti si riescono a fare. Ho sempre guardato gli altri per valutare i pregi, ma anche i difetti per capire cosa non fare. Il mondo del basket è sempre stato un insegnamento per me e ho cercato di trasmettere queste cose anche ai giocatori più giovani. Io non sono mai stato uno di quegli ‘anziani’ fastidiosi. Quando ero giovane a Reggio Emilia ero in uno spogliatoio con molti 35enni e ho subito parecchio il famoso ‘nonnismo’, ma io non ho voluto comportarmi così coi ragazzi più giovani. In poche parole per arrivare a certi livelli devi essere bravo a studiare tutto quello che succede intorno a te”.

“IN UNO SPOGLIATOIO SERVONO PERSONE INTELLIGENTI CHE SAPPIANO CONVIVERE” – “La Fortitudo è stata un’esperienza di 5 anni e mezzo di continua crescita. Non ti so dire un momento in particolare: lo Scudetto del 2005 è l’apice e la chiusura di un cerchio. Ero capitano e leader, ma soprattutto era la crescita che mi piace sottolineare. Passare da Reggio Emilia alla Fortitudo è stato come ritrovarsi improvvisamente dal nulla a giocare con grandi campioni al proprio fianco. Io sono sempre stato un ragazzo con poca stima di sé stesso. Mi chiedevo sempre “cosa ci sto a fare qui?” quindi per mettere a tacere queste mie insicurezze dovevo lavorare 10 volte tanto rispetto ai miei compagni. Io arrivai a Bologna a fine gennaio per sostituire un certo Vinny Del Negro, mica uno qualunque. Il primo allenamento a cui ho preso parte si parlava solo inglese, e io non capivo quasi nulla, ma il coach mi diede subito la parola. Il gruppo si forma se hai delle persone intelligenti che riescono a convivere, ma anche sopportarsi e supportarsi. Quando alzi il livello ci sono troppi ‘galli nel pollaio’. In quella Fortitudo c’erano personalità forti, ma anche gente troppo ‘montata’: Jaric, ad esempio, aveva 20 anni e voleva essere dello stesso livello di Myers, tanto che in alcuni allenamenti andava via sbraitando perché non aveva la stessa considerazione. Se pensi di formare una squadra con queste persone qua fai fatica ad andare avanti. Per chiunque ci sono degli step da rispettare, anche se uno è forte”.

“LA CHIAVE DEL SUCCESSO E’ SACRIFICARSI ANCHE IN FASE DIFENSIVA” – “Per vincere dei trofei serve mettersi a disposizione della squadra e togliersi anche qualcosa a livello offensivo per aiutare in fase difensiva. Non nego che abbiamo avuto tanta fortuna. Se penso alle Olimpiadi del 2004 gli accoppiamenti sono stati favorevoli, ad esempio in semifinale con Porto Rico. Noi eravamo quasi tutti tiratori: se beccavamo il giorno che facevamo tutti canestro era dura per gli avversari”.

“LA MENTALITA’ SI TROVA DANDO SEMPRE IL MASSIMO IN OGNI ALLENAMENTO” – “L’aspetto mentale si allena quotidianamente negli allenamenti e nelle partite. E’ un continuo assimilare, imparare a concentrarti anche durante gli allenamenti per arrivare ai momenti della stagione dove devi dare tutto e non puoi farti trovare impreparato. Rispetto per gli avversari prima di tutto, mai prendere sottogamba anche le partite che possono sembrare facili. Ogni secondo che sei in campo capire cosa vuole l’allenatore. Io ad esempio mi studiavo il libro degli schemi degli avversari quindi ogni volta sapevo cosa andavano a fare, conoscevo i loro movimenti e le loro mosse. Abituarsi a una visione completa della preparazione della partita è fondamentale”.

 

 

 

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