Ormai da settimane l’hashtag #PioliOut è tornato ad infestare i social del Milan e i post dei tifosi, il bivio di fronte alla proprietà.
Dopo la notte magica contro il PSG il Milan si riscopre insicuro e fallace al Via del Mare di Lecce, con un 2:2 che stava per trasformarsi in beffa atroce nel recupero. La panacea di tutti i mali agli occhi della maggior parte dei tifosi sembra essere l’esonero di Stefano Pioli, un film già visto. Oltre ai tanti #PioliOut lanciati sui social c’è chi addossa colpe anche su proprietà e giocatori, in questi casi da che mondo e mondo a pagare per tutti è sempre chi siede in panchina.
I motivi sono plurimi, non ultimo anche il fattore infortuni, trasformatosi da alibi ad aggravante. Ecco quindi che da papabile anti-Inter i rossoneri ora si trovano a sperare di riuscire ad arrivare almeno in zona Champions League. Intanto nonostante le intemperanze dei tifosi sui social la proprietà ha confermato ancora la fiducia all’allenatore.
Durante la pausa ci sarà un confronto società-allenatore per provare a fare luce sui ben 16 infortuni finora accumulatisi da inizio stagione, mentre gli spifferi di mercato vogliono un Diavolo pronto a fare il possibile per tappare i buchi della rosa in vista di gennaio, per tentare il tutto e per tutto e rilanciarsi nella corsa al titolo. Tuttavia la sensazione che oggi ha trovato spazio anche nelle pagine del Corriere della Sera è un’altra. Il vero motivo per cui Pioli non sarebbe ancora stato esonerato infatti dipenderebbe dalla mancanza di alternative considerate all’altezza agli occhi dei vertici del club.
Il Milan oltre Pioli, tra passato e futuro
Stefano Pioli è l’allenatore rossonero più “longevo” dell’ultimo decennio. Subentrato al disastroso Marco Giampaolo, è giunto a quota 204 panchine e punta Arrigo Sacchi in sesta posizione a quota 220 nella classifica. Le parole di Giorgio Furlani a inizio stagione però sono apparse piuttosto chiare e il senso era che o si festeggia qualcosa a maggio oppure sarà addio. Una separazione che molti tifosi vorrebbero vedere prima, arrivando addirittura ad invocare il nome di Ignazio Abate, che sta facendo molto bene con la Primavera, magari insieme all’ex compagno e amico Zlatan Ibrahimovic.
Quando si pensa al futuro però sorgono dubbi e incertezze. La rinascita del Milan dalla “Banter era” è ormai avvenuta e più volte si è invocato un upgrade anche per il ruolo dell’allenatore. Ecco quindi che nei giorni scorsi e non solo era uscito fuori anche il nome dell’ex “nemico” Antonio Conte. Un ipotesi che però divide per il suo storico bianconerazzurro, oltre a essere un tecnico notoriamente molto esigente sul mercato con il rischio di scontrarsi con gli attuali principi di sostenibilità rossoneri. Oltre lui qualunque altro profilo economicamente abbordabile viene additato come una scommessa o un salto nel buio. La storia degli allenatori del Milan tuttavia è caratterizzata da una costante che parla chiaro a riguardo.
Qualsiasi allenatore abbia vinto al Milan lo ha fatto iniziando propio dalla squadra rossonera, dall’alba del club con il fondatore Herbert Kiplin sia in campo nazionale che internazionale. Non fa eccezione Nereo Rocco, tanto quanto Gipo Viani e Nils Liedholm, fino ad arrivare alla storia recente della gestione Berlusconi. Da Arrigo Sacchi a Max Allegri passando per Fabio Capello e Carlo Ancelotti.
L’eccezione che conferma la regola
Tutti quanti sono diventati grandi iniziando a vincere con il Milan. L’unica eccezione è rappresentata dall’ungherese Lajos Czeizler, già 5 volte campione di Svezia prima di vincere il Tricolore 1950-51 con i rossoneri. Eccezione resa tale anche dai tentativi falliti con Oscar Washington Tabarez nel 1996, campione argentino col Boca Juniors e del Sudamerica con il Penarol, quindi con Fatih Terim, che quando arrivò a Milanello nel 2001 aveva in bacheca 4 campionati turchi e una coppa UEFA vinta col Galatasaray.
È altresì vero che i suddetti tecnici arrivarono al Milan con la bacheca vuota esattamente come Mihajlovic, il già citato Giampaolo, così come le vecchie glorie Leonardo, Seedorf, Inzaghi e Brocchi, per citare solo i più recenti, che però fanno parte delle pagine più buie della storia pre-Pioli, insieme anche a Vincenzo Montella, che se non altro portò in bacheca una Supercoppa Italiana. La scelta su chi sarà a guidare il Milan del post-Pioli quindi si fa ancora più enigmatica, tra controsensi della storia e in bilico tra gloria e disfatta.