Analisi dei nuovi dettagli dal caso scommesse con il parere del dottor De Luca, psicologo psicoterapeuta direttore del Centro DEP di Napoli.
L’inchiesta sul caso scommesse stanno portando alla luce nuovi dettagli sul livello di coinvolgimento delle figure chiamate in causa. Ad emergere in maniera più significativa aldilà della gravità dal punto di vista sportivo, c’è l’affresco di un panorama in cui gran parte dei giovani sportivi appare affetta dal vizio del gioco, fino a sviluppare una dipendenza già dai primissimi anni di carriera.
Abbiamo affrontato questo tema con il Dr Paolofabrizio De Luca, direttore e responsabile del Centro DEP di Napoli, psicologo e psicoterapeuta specializzato, tra le altre cose, in psicologia dello sport e conduzione di gruppi terapeutici.
L’ha sorpresa il caso scommesse appena esploso in Serie A?
Non mi ha particolarmente sorpreso perché sono eventi che si sono già verificati nel mondo del calcio e non solo.
È sempre un evento triste che danneggia l’immagine del calcio Italiano, anche se servirà ancora tempo per conoscere meglio la realtà dei fatti. I calciatori non sono dei supereroi, ma esseri umani suscettibili ad errori ed a sintomatologie psicologiche come noi tutti.
Quanto è preoccupante questo fenomeno?
L’Istituto Superiore di Sanità ha stimato che in Italia l’azzardo è un’attività che coinvolge una popolazione di oltre 5 milioni in modo abitudinario. Le persone che soffrono di dipendenza da gioco d’azzardo sono oltre 1 milione.
Essendo in Italia circa 59 milioni di persone significa che nel mondo del calcio italiano 1 calciatore su 59 potrebbe rientrare in quel milione di soggetti che sono considerati problematici, ovvero con dipendenza.
Lo scandalo sui calciatori che scommettono pare non sia fatto di alcuni casi isolati, la cosa che sorprende di più però è che almeno per ora l’età dei soggetti coinvolti è piuttosto bassa. Siamo di fronte ad un fenomeno generazionale?
Personalmente la richiesta di psicoterapia in ambito clinico è in crescita e negli ultimi anni ho più volte trattato questo disturbo con alcuni calciatori professionisti cercando di strutturare percorsi ad hoc funzionali al contenimento della sintomatologia ludopatica. Forse è ancora presto per parlare di un vero e proprio fenomeno generazionale, ma sicuramente i dati statistici segnalano un problema che coinvolge i giovani in modo sempre più significativo.
Qualcuno inizia a parlare addirittura di “piaga” sociale, secondo lei si può paragonare con le dovute differenziazioni all’eroina negli anni 80? Per far intendere la portata dannosa del fenomeno almeno.
La ludopatia è una dipendenza pericolosa che colpisce anche i più giovani. La storia racconta che negli anni ‘80 ci fu una vera e propria tragedia generazionale. Molte famiglie hanno sofferto per i numerosi morti, altre sono state ridotte sul lastrico. Nei suddetti anni i giovani sentivano il bisogno di spingersi oltre i limiti, in molti casi arrivando alla morte per overdose di sostanze tossiche. La ludopatia è un fenomeno diverso e sicuramente più trattabile se riconosciuto e preso in tempo coi dovuti percorsi psicologici.
Nascita del fenomeno, percorso riabilitativo e rischio “escamotage”
Da dove nasce questa tendenza e attrazione verso questo tipo di attività da parte delle nuove generazioni e come si può prevenire?
Questa tendenza nasce dal falso mito del “vincere” facile. I soldi “facili” sono un’illusione che oggi affascina i giovani. Basta “vendere il proprio corpo”, “pubblicare il video virale”, emulare i più noti influencer, etc. In sintesi molti giovani oggi credono che possa bastare un click per cambiare la propria vita e crearsi una nuova identità. Non c’è più la cultura del sacrificio, della conquista, della vittoria sul campo.
Quanto può durare mediamente un percorso di riabilitazione, in cosa consiste e quant’è difficile uscirne?
Come già evidenziato in precedenza è fondamentale innanzitutto riconoscere la ludopatia ed avere il coraggio di chiedere aiuto. Spesso il giocatore tende ad occultare la problematica ai familiari, che puntualmente si trovano coinvolti solo quando essa è conclamata ed ha prodotto danni economici ed affettivi nella vita del soggetto. La cura è un trattamento psicoterapeutico individuale e/o di gruppo, raramente associato anche ad un trattamento psicofarmacologico.
La durata del trattamento è in media di 6 mesi, ma in alcuni casi può durare molto più tempo per la stabilizzazione dei risultati e la gestione delle ricadute.
È possibile capire se nel caso di alcuni calciatori si tratti davvero di ludopatia e non sia invece un “escamotage” per avere una riduzione di pena?
Per stabilire se una persona è affetta da ludopatia oppure si tratta di un simulatore bisogna effettuare una Consulenza Tecnica Psicologica dove indagare in modo approfondito i tratti di personalità attraverso colloqui clinici e la somministrazione di reattivi psicodiagnostici specifici. Una persona affetta da ludopatia può ad esempio presentare tratti ossessivi e vivere l’azione dello scommettere come automatica, compulsiva, necessaria e pervasiva. L’inganno di base è il continuare a puntare con l’illusione del recuperare in toto quanto perso fino a quel momento.
Il calciatore professionista può però condizionare il risultato se scommette su gare che lo riguardano e quindi la ludopatia stessa non può essere una giustificazione all’azione. Non si tratta più di una giocata compulsiva della quale attendere il risultato dubbio, ma di una scommessa “sicura” determinata dalle proprie azioni o da quanto concordato illecitamente con colleghi su altri campi.