Stefano Nazzi è famoso per il suo podcast Indagini, ma c’è stato un tempo in cui parlava di calcio e faceva un altro tipo di ricerche.
Da Via Poma a Cogne passando per Avetrana. Stefano Nazzi e le cartoline del male, un viaggio tra horror e approfondimento lungo i sentieri del giallo che diventa noir. Questo è Indagini, il podcast edito da “Il Post” che vede il cronista in prima linea e fra i narratori di maggior successo online. Quello di cui c’è bisogno è chiarezza e Nazzi la garantisce attraverso un racconto lucido e ritmato in cui non risparmia le stoccate.
Quello che oggi fa davanti al microfono, lo ha sempre fatto sulla pagina bianca: c’erano tempi, non troppo lontani, in cui per Il Post scriveva e basta. Parlava di tutto, anche di calcio. Non è dato sapere che squadra tifi, ma nemmeno è importante nel computo dei fatti che distinguono dalle opinioni. Nazzi ha raccontato il calcioscommesse. Da Calciopoli in poi: i complotti, le tematiche, i sotterfugi. Tutto insieme, ma con cognizione.
Fuori dal calderone di chiunque alla gogna solo perchè dentro un mosaico: Nazzi guardava l’importanza delle tessere in un disegno. La prima che ha analizzato in anticipo era quella di Andrea Agnelli, oggi nell’occhio del ciclone ma all’epoca rampante e sognatore. In grado di riportare la Juventus dalla B alla A e fargli vincere prima uno e poi tanti altri Scudetti. Il noto giornalista, già all’epoca, voleva vederci chiaro. Gli convinceva poco e il fiuto di un cronista, specialmente quando ce l’hai, deve essere assecondato. Allora scrive – il 10 maggio 2012 – un articolo dal titolo “Juventini e no”.
Il pezzo racconta tutta la diatriba fra la differenziazione tra Scudetti sul campo e riconosciuti. Quel doppio confronto che la Juve non ha mai smesso di ribadire. Nazzi lo sintetizza così: “Andrea Agnelli non sta facendo molto per rendere la Juventus una squadra simpatica. Diciamo che la strategia è un po’ quella del marchese del Grillo: «Io so’ io e voi non siete un cazzo». Così all’ingresso dello Juventus Stadium, a Torino, è stato appeso un grande scudetto con la scritta 30. Per la giustizia sportiva e per tutto il resto del mondo gli scudetti sono 28”.
Se l’inizio sembra roboante, lo svolgimento è ancora più ficcante. Un paragone tira l’altro: cinema, dubbi ed esitazioni. Nazzi è quello che, in qualche maniera, aveva previsto il tracollo Juve sugli stipendi prima che succedesse. Parte dalla storia (non troppo remota) degli Scudetti per toccare ogni punto. Fino ad arrivare alla differenza tra Giustizia e retorica: “Non è una questione opinabile: ci sono stati verdetti sportivi, i dirigenti juventini di allora sono stati radiati. Già, dice la Juventus oggi, «ma noi quegli scudetti li abbiamo vinti sul campo». Però il campo era quello che aveva “disegnato” Moggi”.
Parole forti, a livello di cronaca nera, che provano a squarciare un velo di Maya. “Qui tutti dicono la frase di rito: «Le sentenze si rispettano» e poi però fanno assolutamente quello che gli pare. Non credo che in Inghilterra o Germania potrebbe accadere, federazione calcio e lega delle squadre di serie A prenderebbero provvedimenti. Qui per ora tutto tace: se non interverranno è come se non esistessero”. L’epilogo di quel pezzo suona quasi come una “profezia”. Oggi la Juve patteggia per motivi diversi, ma Nazzi forse lo sapeva già e non è solo questione di corsi e ricorsi storici, ma proprio di meccanismi – deontologici – che sono difficili da debellare.
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