Tonali dimostra come il calcio italiano sia una fabbrica di talenti destinati a svernare altrove: potere economico, ma anche capacità.
Tonali, Barella, Bastoni, Verratti, Donnarumma, Chiesa, Pellegrini, Jorginho. Un mantra salvifico, per gli altri. Il tricolore azzurro brilla più adesso che nel passato: non si tratta soltanto di vittorie e blasone, ma anche e soprattutto di valore. Si diceva che l’Italia del calcio fosse morta, invece è più viva che mai. Lo dimostrano i numerosi campioni, alcuni profeti in patria altri meno, che il nostro campionato sforna e mette a disposizione. Peccato che poi la maggior parte di questi vadano via: lo Stivale, finora, ha sempre combattuto con la fuga di cervelli.
Ora si ritrova a fare i conti con la fuga dei campioni. In entrambi i casi – per motivi diversi e assolutamente opposti – è colpa del mercato: non ci sono garanzie all’interno, ma la forza è all’esterno. Tradotto: l’Italia non riesce a tenere i propri talenti, dietro una scrivania e sul rettangolo verde, perchè deve fare i conti con competitor più alti e maggiormente organizzati. Si veda il caso di Tonali al Newcastle: gli inglesi hanno potuto concepire un’operazione da 70 milioni + bonus in tempo record.
Tonali e non solo: l’Italia da esportare
Gli investitori arabi non hanno problemi, non solo loro sono in una situazione del genere, ma anche altri possono permettersi di spendere anziché investire. La differenza tra l’Italia del calcio – mentre l’Italia della ricerca e dei cervelli la lasciamo valutare ad altri – di oggi e quella del passato è che prima c’era un mercato più fiorente: lo Stivale prima spendeva, oggi investe. Significa che un tempo non troppo lontano erano più i campioni che venivano in Serie A piuttosto che quelli in grado di partire già abili e arruolati dal nostro campionato.
L’Italia prima comprava i campioni da fuori, ora ce li ha in casa pronti ad andare via. Questa fase, in cui prevale più l’export che l’import – in un certo senso – dal punto di vista calcistico l’hanno attraversata tutti i Paesi. È toccato prima alla Germania e poi alla Francia, ora tocca all’Italia: il segreto per il futuro è quello di continuare a investire sui vivai e procedere fin quando le casse dei club nostrani non saranno a posto per altri colpi da capogiro.
Per il momento siamo destinati a svezzare, crescere e rivendere talenti che faranno la fortuna di altri, oltre che della Nazionale azzurra. Ripartire dai più giovani viene considerata costruzione dal basso, invece nel 2023 è ritenuta una delle più alte forme di business. L’Italia deve solo capire che, oggi, l’unica speranza che ha è quella di formare ottimi giocatori sperando di poterli tenere più a lungo possibile. Le lusinghe dei mercati orientali, sauditi e non solo – presto o tardi – faranno il loro compito. Quello che dal ’90 al 2000 (forse anche oltre) spettava all’Italia. Passata da consumatrice a produttrice, con le dovute eccezioni. Sopravvivere allo strapotere dei magnati è possibile: duro lavoro e determinazione, con buona pace di tentazioni e procuratori.