Andrea Fortunato, 28 anni dalla morte dell’ex Juventus e dalla promessa fatta a mia madre

La lettera di Matteo Fantozzi per il ricordo di Andrea Fortunato: il fil rouge che lega l’ex calciatore Juventus alla sua vita.

Ricordo come fosse ieri quel pomeriggio di fine aprile, con l’edizione straordinaria del telegiornale che ci raccontava che Andrea Fortunato non ce l’aveva fatta. Io ero in un letto d’ospedale e anche se avevo appena 8 anni non dimenticherò mai quel momento. Il 25 aprile del 1995 si spegneva a Perugia uno dei terzini in ascesa del calcio italiano che aveva conquistato da due anni la maglia della squadra più prestigiosa del nostro paese e tra le più importanti del mondo.

La lettera ad Andrea Fortunato
La lettera ad Andrea Fortunato (TvPlay.it)

Aveva appena 23 anni, ne avrebbe compiuti 24 tre mesi più tardi ma non li festeggerà mai. Andrea Fortunato era stato anche criticato, quando ancora non si sapeva della terribile malattia che l’aveva colpito. Cresciuto nelle giovanili del Como, che lo aveva prelevato appena 14enne dalla Giovane Salerno squadra della sua città, del suo quartiere, aveva debuttato in Serie B proprio con i Lariani. Dopo un ottimo anno in quella che all’epoca si chiamava Serie C1 il calciatore viene notato e acquistato dal Genoa.

Il Grifone lo manda in prestito al Pisa dove gioca una buona stagione in cadetteria concludendola con 26 gettoni e tante buone prestazioni. Nell’annata successiva, quella del 1992/93, Andrea gioca da titolare in Serie A proprio con i rossoblù e segna tre gol. Iniziano lì i paragoni con Paolo Maldini che lo lanciano nel calcio che conta. L’estate del 1993 è straordinaria per lui perché viene acquistato dalla Juventus, su precisa richiesta di Giovanni Trapattoni, per 10 miliardi delle lire che furono. Non solo perché terminata l’estate, il 22 settembre, esordisce a Tallin con la maglia della nazionale azzurra anche se nessuno poteva immaginare che quella sarebbe stata la sua unica presenza in azzurro.

Le critiche e la malattia, il terribile addio di Andrea Fortunato

Andrea Fortunato alla Juventus inizia molto bene, con un girone d’andata da protagonista fino a quando arriva la Primavera. Improvvisamente Andrea palesa un calo fisico, che stupisce tutti e che viene anche molto criticata, con qualcuno che l’accusa di sentirsi arrivato, di non metterci troppo impegno. Iniziano delle febbriciattole sospette di cui non si capisce la natura, all’eliminazione dei bianconeri dalla Coppa Uefa il calciatore entra nel mirino anche della sua tifoseria che lo accusa di essere uno che ama la dolce vita, che non si impegna e che è un malato immaginario.

Il 20 maggio del 1994 segna l’inizio della fine. La stagione è finita e Andrea si fa sostituire in una semplice amichevole perché sente di non farcela più. Riccardo Agricola, all’epoca medico ufficiale della Juve, decide di far sottoporre il ragazzo a dei controlli. La diagnosi è di quelle che lasciano senza parole, il calciatore ha una forma di leucemia linfoide acuta. A quel punto tutte le critiche, tutte le polemiche si spengono e attorno a lui si stringono non solo squadra, società e tifosi ma il calcio italiano in generale.

Non si trova un donatore di midollo osseo e la situazione sembra essere davvero tragica, Fortunato viene trasferito al Policlinico Silvestrini di Perugia. Fabrizio Ravanelli, compagno di squadra nella Vecchia Signora, gli offre la sua casa perugina per permettere alla famiglia di stargli vicini. Si tenta il trapianto dalla sorella ma le sue cellule vengono rigettate, quelle del padre però attecchiscono e fanno pensare al meglio. Arrivano i primi miglioramenti, nell’ottobre del 1994 il calciatore inizia la riabilitazione e vede la luce in fondo al tunnel. Arriviamo a febbraio e tutto sembra essere un lontano ricordo, la battaglia è vinta o almeno così si credeva. Andrea si reca nella sua città natale Salerno per la laurea della sorella. Passano altri due mesi e improvvisamente un pomeriggio del 25 aprile in seguito a un abbassamento delle difese immunitarie una polmonite gli toglie la vita. I funerali sono dolorosi, riuniscono mezza Italia e nessuno potrà dimenticare le parole di Gianluca Vialli durante l’omelia: “Speriamo che in paradiso ci sia una squadra di calcio, così che tu possa continuare a essere felice correndo dietro a un pallone. Onore a te, Andrea Fortunato”.

La promessa a mia madre

La mia vicenda personale si lega a doppia mandata a quella di Andrea Fortunato. Ma facciamo un passo indietro a quando nel 1990 viviamo le Notti Magiche, sentitissime e indelebili. Io ho tre anni e davanti al televisore imito le esultanze di quel calciatore esplosivo durante quella manifestazione, Salvatore Schillaci. Me lo raccontano, non me lo ricordo, ma chiedo a mia madre in che squadra gioca Totò è in quel momento che mi innamoro della parola Juventus nonostante io sia nato a Roma in una famiglia di romanisti.

Passano gli anni e arrivano i Mondiali del 1994 negli Stati Uniti, quelli in cui ad appena sette anni inizio ad avere una qualche concezione del calcio e di come questo funzioni. La stagione 1994/95 è la prima in cui seguo la Juventus, in cui mi metto sognante alla radiolina aspettando di rivedere le prime gesta di Alessandro Del Piero a 90° minuto. Anche io sono travolto da una diagnosi di quelle che non si vorrebbe mai sentire, streptococco beta emolitico con conseguente endocardite e prolasso alla valvola cardiaca aortica.

Vengo ricoverato il 4 aprile, tra la vita e la morte, ma non mollo, lotto e rialzo la testa. Passano i giorni e arriva quel 25 aprile maledetto, l’annuncio ci arriva da quell’edizione straordinaria dal telegiornale. Non so il motivo, ma quell’immane tragedia invece di spaventarsi mi da una forza straordinaria, sento che Andrea è entrato dentro di me. Guardo mia madre, sfinita e seduta su una poltrona al fianco del mio lettino d’ospedale, e fissandola negli occhi le dico: “Mamma, non ti preoccupare, vivrò anche per lui”.

Sono passati 28 anni da quel momento e non c’è giorno in cui io non abbia provato a far vivere Andrea Fortunato dentro di me. L’ho visto passare da fratello maggiore, con i suoi 23 anni rispetto ai miei 8, a fratello minore visto che oggi, tre interventi a cuore aperto dopo, io ne ho quasi 37 e lui come tutti gli angeli non invecchia mai è ancora a 23. Non so se Andrea da qualche parte senta questo mio gesto di continua lotta contro il mio, seppur diverso, male che ci accomuna per quel 1995 balordo ma impossibile da dimenticare. Non so se Andrea sia fiero di me, dalla stella in cui si trova. Lo vorrei solo abbracciare e dirgli che fino all’ultimo giorno della mia vita lotterò anche per lui.

Ciao Andrea, non ti dimenticherò mai.

A cura di Matteo Fantozzi

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