Milan, addio San Siro. I rossoneri vogliono il loro stadio. Ancora non c’è accordo su La Maura, anche per volere dei cittadini.
Milan, ultimo stadio. I rossoneri vogliono una struttura per conto loro: niente progetto condiviso con l’Inter. Il capoluogo della Lombardia si avvicinerà sempre più al modello britannico, con ogni squadra dotata di un impianto di proprietà e quel che ne consegue. Questo – almeno – sulla carta. La realtà è ben diversa: la volontà di fare lo stadio c’è.
Il punto è dove: la zona più quotata è quella di La Maura, dove si trova il noto ippodromo. Il progetto sarebbe ambizioso, ma i cittadini non ne vogliono sapere: il prossimo 19 marzo, infatti, è prevista una manifestazione di piazza per scongiurare l’eventualità di uno stadio nuovo. Almeno da quelle parti. I residenti, infatti, vorrebbero evitare un cambio netto di abitudini: secondo molti, infatti, si rischierebbe la sostenibilità a livello di viabilità. Senza contare che, per molti, cambiare l’itinerario vigente potrebbe significare un nuovo assetto che andrebbe anche a incidere sulla circolazione.
Milan, La Maura è un rebus: cittadini in rivolta per il nuovo stadio
C’è poi l’aspetto legato ai lavori: cambiare tutto vorrebbe dire lasciar passare perlomeno tre anni, se non di più. L’allungamento dei tempi è dato dall’esigenza di mettere d’accordo tutti, ovvero: Regione, Città Metropolitana, Comune di Milano, Ente Parco Sud. Anche perchè Sala ha dato mandato all’entourage rossonero di verificare se ci sono le condizioni quantomeno per iniziare un dialogo. Stavolta non solo sembrano latitare, ma le parti sarebbero pressoché distanti. Lo stadio, dunque, non s’ha da fare. Non a La Maura.
In caso di chiusura totale, l’alternativa ci sarebbe. Anche in più di una soluzione. Al muro della comunità, il Milan risponde con i rincalzi San Donato e Sesto San Giovanni. La Maura, comunque, resta in pole: una prospettiva ufficiale e, si auspica, definitiva ci sarà dopo il 19 marzo prossimo. Gli stadi di proprietà sono utili, ma restano anche una matassa complessa da sbrogliare. Roma, con Tor Di Valle, insegna: gli ippodromi hanno un’avversione per il pallone. Solo a sentirlo nominare c’è la possibilità che salti tutto.