Mourinho compie 60 anni. Dalle frasi più iconiche ai trionfi in giro per l’Europa, ecco i momenti indimenticabili dei primi 60 anni dello Special one
Oggi è un giorno speciale per lo Special One del calcio mondiale. José Mourinho, tecnico della Roma, spegne 6o candeline. Cifra tonda e ragguardevole traguardo per chi come il tecnico giallorosso li ha sempre tagliati. Basta dare uno sguardo al suo invidiabile palmares per convincersene: 8 titoli nazionali, tra Super Lega portoghese, Premier League, Serie A e Liga), 2 Champions League (nel 2004 con il Porto, nel 2010 con l’Inter), 2 Coppa Uefa/Europa League (nel 2003 con il Porto nel 2003, nel 2017 con il Manchester United), 1 Conference League, l’anno scorso con la Roma, più altre 13 coppe tra nazionali e Supercoppe.
Un vincente, insomma, uno che non è mai sazio di vincere in quanto, come ama ripetere, “un vincente non è solo chi vince ma chi ha sempre il desiderio di vincere“. Una delle tante perle dialettiche di un tecnico per il quale le “conferenze stampe pre e post-partita sono la partita“.
Tante le frasi memorabili che il tecnico di Setubal ha generosamente dispensato da quando ha conquistato la ribalta del calcio mondiale. Tutta la sua carriera è stata punteggiata da battute fulminanti, arroganti e talvolta irriverenti che hanno contribuito a renderlo il tecnico più iconico del calcio moderno.
Mourinho, le sue frasi celebri: da “per loro la Champions è un’ossssione” a “zeru tituli”
Impossibile elencarne tutte. Noi ci limitiamo a quelle che meglio dipingono un personaggio che, come il grande Muhammad Alì, distrugge i suoi avversari prima in conferenza e poi in campo. Come non ricordare “per loro la Champions è un’ossessione, per noi un sogno” in risposta agli intenti bellicosi dei calciatori del Barcellona che, con tanto di video, promettevano che il Camp Nou per i calciatori dell’Inter sarebbe stato la loro fossa dei leoni. Era l’epica semifinale della Champions League 2009-2010, terminata 1-1 anche grazie a un Eto’o nell’insolito ruolo di terzino a difesa del 3-1 dell’andata, che diede il la al triplete nerazzurro (Scudetto, Coppa Italia e Champions League, vinta in finale contro il Bayern Monaco).
Bastò quella semplice verità per smontare l’animus pugnandi dei catalani che finirono per essere irretiti più che dalle barricate nerazzurre dal nervosismo dettato dall’imperativo categorico di conquistare la finale che quell’anno sarebbe stata ospitata al “Santiago Bernabeu”: occasione più unica che rara di alzare al cielo il trofeo calcistico più importante, e poi festeggiare, nell’odiata Madrid.
Comunque, un’antologia delle gemme dialettiche di Mou non può prescindere da quelle meno “nobili” ma certamente più popolari, a partire da quella, in occasione della sua presentazione alla stampa come allenatore Chelsea, da cui è nato il soprannome con cui è conosciuto: “Vi prego di non chiamarmi arrogante ma sono campione d’Europa e credo di essere uno speciale (Special one). Se avessi voluto un lavoro facile sarei rimasto al Porto“.
Esordio leggendario anche in Italia con quel “non sono un pirla” meravigliando per la sua ottima conoscenza non solo dell’italiano ma anche del vernacolo milanese prima di abbandonarsi al registro sardonico per denunciare “il rumore dei nemici” e la “prostituzione intellettuale” dei media che bersagliavano di critiche, a suo dire, ingenerose i nerazzurri invece di prendere di mira chi aveva “zeru tituli“.