Antonio Conte sempre più ai ferri corti con gli Spurs, ma c’è un denominatore comune che accompagna le crisi di risultati del tecnico.
Chi si ricorda dei dieci euro in un ristorante stellato è amante delle citazioni illustri, ma Antonio Conte non è la prima perla che regala ai giornalisti. Quel paragone infelice gli costò – in parte – la panchina della Juventus su cui poi si mise a sedere Allegri che con dieci euro (ok, forse qualcuno in più) non solo mangiò in un ristorante stellato – per dirla alla Conte – ma arrivò addirittura fino al dessert: quelle due finali di Champions disputate e perse che, però, fecero accarezzare un sogno ai tifosi bianconeri.
Conte lascia Torino e va al Chelsea, dove ci sono sempre le stesse dinamiche ma su larga scala. La tranquillità dura leggermente di più per poi sfociare in tensione e frizioni. Al punto che Conte fa causa ai Blues per mancato pagamento e la vince: quando si dice mettere alle strette un club. Meno frasi, più fatti. Quelli dimostrati recentemente a Milano (sponda Inter) dove era tornato per portare lucidità e ha consegnato uno Scudetto che mancava da tempo, oltre alla creazione della LuLa riproposta ancora oggi con effetti diversi.
Conte-Tottenham, cala il gelo: i segnali della crisi
Antonio Conte è così: prima in discesa, con il ritorno alle serate magiche e ai punti che sembrano non finire mai, e poi in salita. Quando tutto sembra pesare il doppio. Milano, Torino, Londra: il triangolo delle sfuriate. Il tecnico salentino parte con calma per poi esplodere come una slavina. Appena le cose si mettono male comincia la guerra fredda: frasi taglienti – “Il ristorante stellato con dieci euro in tasca” – e talvolta umiliazioni pubbliche: “A chi dobbiamo chiedere di più in Champions a Barella che ha giocato con il Cagliari?”, non appena è possibile Conte bastona e fortemente.
Atteggiamento che dovrebbe servire a dare una scossa in un senso o nell’altro: vale a dire che o la dirigenza accoglie le sue provocazioni, oppure non insiste e lo esonera. Come è successo in due casi. A Milano, per amor di verità, c’è stata – secondo le ricostruzioni – una mancata intesa sul mercato. L’allontanamento non è stato condiviso: niente accordo tra le parti e lauta buonuscita. Sempre alla stessa maniera. Quando gli equilibri cominciano a scricchiolare Conte diventa insofferente, con tutto quel che comporta mediaticamente. Dopo tre punti in nove partite con il Tottenham – non potendo attaccare i giocatori – si scaglia contro la dirigenza: “In Inghilterra – afferma alla vigilia della partita con il City – c’è una cattiva abitudine. Solo l’allenatore viene a parlare davanti ai media, la proprietà non si espone. Questo in Italia non esiste. Così si rischiano fraintendimenti”.
Dritto, netto, inequivocabile. Qualcosa si è rotto anche stavolta. La differenza, però, è che il contratto di Conte scade a Giugno. Verosimilmente gli Spurs dovrebbero prendere un’altra direzione: “C’è tempo”, ha detto il tecnico, ma sa benissimo che la clessidra non gira a suo favore. Ecco perché forse si sta togliendo i sassolini dalle scarpe al momento opportuno: parole di fuoco fin quando ancora ci saranno cartucce da sparare, poi verrà il momento delle sentenze. Una gli inglesi sembrerebbero averla già presa, per cambiare le cose serve un colpo di coda. Anzi: un colpo di Conte. Altrimenti sarà addio.