Pelè passa a miglior vita, ma prima di far preoccupare gli appassionati ‘O Rei ha incantato chiunque: la sua particolare storia.
Pelè si arrende contro il cancro. Una situazione difficile che lo porta a essere malato terminale al termine di una serie di cure serrate a base di chemio e ricoveri. Non bastano più, al via le cure palliative: l’unico rimedio possibile a questo punto del cammino. Concluso con una fine inevitabile, ma anche tanta storia. Un percorso lungo il suo, denso di possibilità e ricco di porte girevoli con un’occasione dietro l’altra. Non è stato sempre così. Pelè ha vissuto la ribalta, ma anche i retroscena del successo: attese fatte di speranze, occasioni da dentro o fuori. Tutto o niente, sempre.
Sin da quando giocava nelle favelas gli hanno insegnato che le cose belle finiscono, ma prima devono cominciare. Il suo amore per il calcio è iniziato da quando era solo Edson Arantes: figlio di João Ramos do Nascimento. Anche lui calciatore professionista. Uno dei migliori dell’epoca, di testa era infallibile. Nel 1940 nasce un figlio che sarebbe diventato l’icona del calcio Mondiale, per loro era solo Dico. Il ragazzo che, appena si innamora del pallone, chiede “lezioni” al padre. Non avendo un pallone per esercitarsi, giocava con un calzino arrotolato. Arantes jr. gioca per diverse squadre amatoriali e riesce a distinguersi per classe, tocco di palla e visione di gioco. Dal 1954 al 1956 porta il Baru Athletics Club Junior a conquistare tre trofei consecutivi.
Pelè, addio al celebre campione: dagli inizi alla ribalta
L’ascesa comincia ben 66 anni fa, quando Waldemar de Brito lo nota e vuole fargli un provino con il Santos: occasione che arriva ad appena 15 anni, momento in cui – incredibilmente – segna anche la sua prima rete da professionista. Era il 7 settembre del ’56, l’anno dopo arriva anche il debutto in Nazionale. Nel ’57 Pelè diventa capocannoniere del Campionato Paulista. A 17 anni Sylvio Pirilo – selezionatore e altra personalità importante nella vita del campione – lo convoca per vestire la maglia del Brasile nella partitissima contro l’Argentina: record storico per la giovane età. Il campione brucia le tappe e si merita il titolo di “O Rei”. Il Re, in brasiliano-portoghese, e non si discute.
Campione che, nel 1958, fu anche il calciatore più giovane a disputare una finale di Coppa del Mondo con il Brasile: aveva 17 anni e 249 giorni. Quell’anno i Verdeoro vinsero il Mondiale e Pelè divenne immediatamente catalizzatore del successo. Nessuno aveva mai visto niente di simile: un dribbling che sembrava una samba e il tiro una mina. Aveva tutto per fare la differenza, riesce a farla – in ambito Mondiale – altre due volte. 1962 e 1970, il Brasile trionfa ancora e “Ordem e Progresso” comincia a diventare una certezza.
Dal Santos ai New York Cosmos, un passaporto per l’eternità
Pelè progredisce, non invecchia, e tutti lo vogliono. Pochi potrebbero permetterselo. I top club provano a fargli la corte, ma lui ringrazia, saluta e in alcuni casi sbatte anche i pugni sul tavolo. Rimane al Santos e fa una scelta di vita che abbandona dopo altri 18 anni. Nel ’75 passa ai New York Cosmos e si presenta subito con un gol e un assist: le vittime sono i Dallas Tornado.
La vera tempesta, tuttavia, resta “O Rei” che porta i newyorkesi alla vittoria della North American Soccer League. Vince tutto, anche a stelle e strisce. Non avendo più nulla da chiedere si ritira dopo una carriera da sogno con tanti riconoscimenti: il giorno del suo addio al calcio, nell’amichevole tra Cosmos e Santos, venne ritirata la maglia numero dieci. Una scelta obbligata per l’abnegazione e l’importanza di un’icona che ha fatto del mondo del calcio una favola.
Fuori dal tempo non solo per tecnica e modo di porsi, ma anche per quella capacità – un po’ vintage – di esercitare la coerenza prima della classe. L’attaccamento ai colori, nel calcio di oggi, è sempre più raro. Pelè ne ha fatto una consuetudine con la disinvoltura propria ai fenomeni, capaci di cambiare il mondo con un sorriso o con una rovesciata. Come in “Fuga per la vittoria”. Stavolta i titoli di coda passano davvero, ma resta impressa un’epoca – la sua – che vale come passaporto per l’eternità.